Con questo terzo cortometraggio, presentato anche al Toronto Film Festival, il regista di Dogtooth (Kynodontas) torna a parlarci delle dinamiche umane come solo lui sa fare. Nimic è una riflessione filosofica sulla società contemporanea e sulla fugacità della vita.

(Matt Dillon nei panni del padre)

Trama

Un violoncellista (Matt Dillon) di ritorno a casa, dopo una giornata di prove, fa uno strano incontro sulla metropolitana che lo porterà a una situazione paradossale.

Recensione

Nimic è una parola rumena che letteralmente significa “Niente” molto simile, foneticamente, alla parola inglese mimic che invece sta per “imitatore”, il ruolo con cui viene identificata Daphne Patakia. Con un sadico umorismo, Lanthimos gioca con lo spettatore sfruttando questa piccola, ma non trascurabile assonanza affondando, poi, il colpo con la domanda: «Do you have the time?». Se questa frase, in un linguaggio più colloquiale, viene usata per chiedere l’ora, traducendola letteralmente il regista ci sta chiedendo “Hai il tempo?”.

(Daphne Patakia)

L’espressione persa e attonita sul volto del violoncellista ci suggerisce quanto l’ambiguità della frase abbia innescato in lui una riflessione più profonda su quello che è uno dei più grandi drammi dell’esistenza contemporanea: la fugacità delle nostre vite. La routine della vita quotidiana viene trasposta grazie alla rappresentazione di piccoli gesti in modo ritmico e asettico. La cottura di un uovo, il percorso casa-lavoro, la stessa vita che si ripete sempre uguale, giorno dopo giorno, persona dopo persona.

Nimic racchiude in sé tutta la filosofia della prima produzione artistica di Lanthimos: la sostituibilità delle persone e le teorie di Goffman trattate in Alps e la manipolazione del linguaggio trattata in Dogtooth, che in questo corto diventa ambiguità di significato. In questo piccolo gioiello che è Nimic, è proprio il tema del doppio a essere sezionato. Un personaggio che si “sdoppia”, il linguaggio che assume duplice significato, le scene che vengono riproposte in duplice copia, sono espedienti che ci portano ad interrogarci sul relativismo estremizzato della nostra società, in cui anche la nostra identità perde la sua essenza di verità oggettiva.

Il regista immerge i suoi personaggi in quello che è un inferno quotidiano. Sfruttando l’utilizzo di un grandangolare estremo, ci viene dato il senso di circolarità, rimandando la mente alle bolge infernali di dantesca memoria. In questo inferno sulla terra, il mimic diventa contemporaneamente persecutore e, quindi, coscienza: è il niente, il vuoto esistenziale a perseguitarci e a farci riflettere sul vero significato delle nostre esistenze. 

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