“Un click. Un flash. Un misterioso ronzio…”

Nel Luglio 1992 approdava sugli scaffali statunitensi “Say Cheese and Die!”, arrivato in Italia nel 1994 come “Foto dal futuro”. La copertina, ad opera Tim Jacobus, rappresenta una scena che inizialmente non era prevista nel libro. Fu l’editore a contattare R.L. Stine e a chiedergli di aggiungere un passaggio che creasse pertinenza con l’illustrazione di Jacobus. Questa è una delle copertine più iconiche della collana. Basata sull’uso di colori caldi ed accesi, presenta un’atmosfera quasi scanzonata, con una famiglia di scheletri impegnata in un allegro pic-nic. Come vedremo meglio nella recensione, il tono leggero della copertina va di fatto a creare un forte contrasto con i toni maturi ed inquietanti della storia.

TRAMA

Il protagonista della storia è un ragazzino di nome Greg Banks. Il giovane vive nella cittadina di Pit’s Landing, trascorrendo le sue giornate con gli amici Doug, Michael e Shari. Un giorno il gruppetto si introduce nella sinistra villa Coffman. La casa è abbandonata da anni, anche se spesso vi si aggira un senzatetto soprannominato “Tarantola”. Nell’abitazione, nascosta in un anfratto, Greg trova una macchina fotografica a sviluppo istantaneo, decidendo di tenerla per sé. Purtroppo si renderà presto conto che quel ritrovamento non sia stato un colpo di fortuna, bensì una condanna. La macchina difatti scatta soltanto foto di eventi negativi non ancora accaduti. Una caduta di Michael e un incidente del padre di Greg sono soltanto le prime sfortune previste dalle immagini sviluppate dal misterioso artefatto. Il giovane, per quanto ci provi, non riesce peraltro a far nulla per scongiurare tali avvenimenti. Con tale consapevolezza, il nostro protagonista si troverà a fare i conti anche con la scomparsa di Shari. Armandosi di coraggio, Greg dovrà quindi cercare di ritrovare l’amica e, contemporaneamente, venire a capo del mistero legato alla macchina fotografica…

RECENSIONE

Prima di addentrarci negli aspetti inerenti alla trama, facciamo un piccolo cenno all’aspetto stilistico. E’ infatti importante segnalare come “Foto dal Futuro” risulti uno dei romanzi più scorrevoli fra quelli scritti da Stine. Il merito va a dei dialoghi che non appaiono quasi mai artificiosi, ma restituiscono una quadro realistico delle dinamiche che intercorrono fra i giovani protagonisti. Il linguaggio non scende mai nella volgarità, ma risulta più diretto e colorito di quello che può essere ritrovato nella gran parte degli altri “Piccoli Brividi”. La prospettiva sulla vicenda è quella di un narratore esterno. L’uso della terza persona, che si è andato perdendo nel corso della collana, va a ridurre il nostro senso di immedesimazione nel protagonista ma è allo stesso modo funzionale per l’utilizzo di toni più seri.

L’aspetto più interessante di questo libro è però strettamente collegato alla trama. Come accennato nella recensione de “La Casa della Morte”, i primi libri della collana presentavano passaggi legati ad un gusto dell’horror più adulto rispetto a quelli che sarebbero divenuti gli “standard” dei Piccoli Brividi. E “Foto dal Futuro” non fa eccezione: siamo di fronte ad una storia horror a tutti gli effetti. Il povero Greg non si trova soltanto ad avere a che fare con un oggetto che va a prevedere ( e, probabilmente, provocare) eventi negativi, ma non riesce nemmeno a scongiurare l’evenienza degli stessi. Ci viene insomma presentata una situazione che pare essere molto più grande dei giovani personaggi principali, una situazione che va a scardinare le regole del mondo dei Piccoli Brividi, in cui qualsiasi avversità può essere risolta con astuzia, fortuna e un pizzico di follia. A rafforzare una lettura del romanzo come “Piccoli Brividi ma non troppo” ci sono poi due sequenze. La prima ha per ambientazione un ospedale (dove è stato ricoverato il padre di Greg), un luogo che rarissimamente è stato utilizzato da Stine nel corso della collana. La seconda sequenza è quella riguardante la sparizione di Shari. Il modo con cui la faccenda viene affrontata dagli adulti e dalle forze dell’ordine lascia chiaramente intendere come si sospetti che la giovane sia stata rapita da un potenziale serial killer. Un’analisi completa non può inoltre prescindere dal menzionare un avvenimento che si verifica nel finale della storia. Se quindi non volete rovinarvi la lettura, saltate il prossimo paragrafo.

Nel finale assistiamo ad una delle pochissime morti presenti nei libri dei Piccoli Brividi. L’avvenimento è reso ancora più inquietante dal fatto che venga “insabbiato” come un semplice malore, quando la reale causa è il potere nefasto della macchina fotografica. In questa atmosfera si va poi ad inserire un (immancabile) colpo di scena finale. Non si tratta né di uno dei più folli, né di uno dei più inaspettati, ma che riesce comunque nell’intento di chiudere la vicenda mantenendo lo stesso spirito cupo che ne ha caratterizzato l’intero svolgimento.

L’adattamento televisivo di questo libro inserito nella famosa serie degli anni ’90 è noto a molti in quanto Greg è interpretato da un giovanissimo Ryan Gosling.

“And the Oscar goes to…”

Ma com’è dal punto di vista qualitativo? Senza dubbio è uno di quegli episodi che avrebbero decisamente giovato da un budget un po’ più sostanzioso, ma merita comunque una visione. Risulta infatti interessante in quanto molte scene sono immerse in un’atmosfera surreale, come se l’intera faccenda fosse un bizzarro sogno del protagonista…o di quel folle genio che è R.L. Stine.