Tra i mille capolavori di Alfred Hitchcock è forse quello che più di ogni altro gli ha cucito addosso il titolo di “maestro del brivido”: Psycho arriva nelle sale italiane il 10, 11 e 12 ottobre (e in anteprima il 4 e 5 ottobre a Roma al Cinema Sacher), restaurato in 4K, grazie all’uscita evento curata dalla Cineteca di Bologna con il suo progetto di distribuzione Il Cinema Ritrovato. Al cinema.

Tratto dal romanzo omonimo pubblicato nel 1959 da Robert Bloch, Psycho vede la luce nel 1960. È Anthony Perkins a vestire i panni del tormentato Norman Bates, tassidermista e voyer, la cui vecchia casa buia e il motel adiacente non sono esattamente il posto dove trascorrere una serata tranquilla. Nessuno lo sa meglio di Marion Crane (interpretata da Janet Leigh), la sfortunata cliente il cui viaggio termina nella famigerata scena della doccia, 45 secondi fra i più celebri della storia del cinema. A cercarla saranno un investigatore privato e la sorella di Marion (Vera Miles).

Hitchcock gioca da maestro con le attese e le emozioni del pubblico: “Ho sempre pensato che sullo schermo bisogna mostrare il minimo per ottenere il massimo sul pubblico. Psycho è stato concepito per depistare lo spettatore. Lo spettatore doveva pensare che il film parlasse di una ragazza che rubava 40.000 dollari. In Psycho del soggetto mi importa poco, dei personaggi anche; quello che mi importa è che il montaggio dei pezzi del film, la fotografia, la colonna sonora e tutto ciò che è puramente tecnico possono far urlare il pubblico”.

Dal romanzo al film

Hitchcock passò un week-end chiuso con il romanzo nella sua casa sul Bellagio Drive a Bel Air. L’ambientazione impiegatizia, i due scioccanti delitti, il finale a sorpresa condito di travestitismo, incesto e necrofilia, tutti questi elementi erano esche che non potevano fallire su un uomo che si vantava di essere un intenditore di psicologia deviante. Hitchcock avrebbe poi osservato: “Penso che la sola cosa che mi sia piaciuta, che poi mi ha convinto a fare il film, sia stato il modo improvviso con cui si commette l’omicidio sotto la doccia; è del tutto imprevisto ed è questo che mi ha interessato”.

L’agente MCA Ned Brown, che aveva chiuso l’affare per l’acquisto del libro da parte di Hitchcock, disse una volta: “Hitch era affascinato dall’idea che la storia iniziasse in un modo – il dilemma della ragazza – e poi dopo un orribile delitto si trasformasse in altro. Ma francamente pensavamo tutti che avrebbe conservato l’omicidio della ragazza sotto la doccia inventandosi poi una nuova situazione e nuovi personaggi!”. Michael Ludmer, anche lui fra coloro che aiutavano Hitchcock nella ricerca di materiale, rincara la dose: “Spesso Hitchcock si limitava a cercare una molla, un grilletto, anche solo una relazione. Non aveva mai avuto bisogno di altro che materiale grezzo”. Fra lo stupore di questi collaboratori pare invece che Hitchcock – per far sì che le sorprese di Psycho restassero tali – avesse ordinato a Peggy Robertson di comprare dall’editore e dalle librerie il maggior numero possibile di copie del romanzo.(Stephen Rebello, Come Hitchcock ha realizzato Psycho, Il Castoro, Milano 1999)

Un thriller a basso costo

Dato che Hitchcock voleva fare il film con meno soldi possibile – voleva produrre un thriller a basso costo che fosse superiore a quelli che stavano fiorendo quell’anno – decise di usare la troupe e lo studio televisivo e di spendere pochissimo anche per il cast. Anthony Perkins doveva un film alla Paramount e poteva lavorare per un compenso ragionevole, come pure Janet Leigh (che, come Perkins, era ansiosa di lavorare per Hitchcock), John Gavin (un altro attore della Paramount) e Vera Miles, che, come immaginava Hitchcock, poteva essere inclusa nel cast visto che riceveva comunque un compenso settimanale. In poche settimane, dalla fine di novembre all’inizio di febbraio, Hitchcock girò Psycho ai Revue Studios, la divisione televisiva della Universal Pictures che la Paramount aveva affittato per lui. Tutto venne fatto con la massima segretezza. Il ciak riportava il titolo di Wimpy [imbranato] – lo stesso adottato dalla troupe – ottimo per mettere chiunque fuori pista e scoraggiare la lettura del romanzo che era appena uscito.
(Donald Spoto, Il lato oscuro del genio. La vita di Alfred Hitchcock, Lindau, Torino 1999)

Il lancio pubblicitario e il successo

Conformemente al suo desiderio di dirigere il pubblico piuttosto che gli attori, Hitchcock insistette affinché dopo l’inizio della proiezione di Psycho nessuno potesse entrare in sala. La campagna pubblicitaria rifletteva questo desiderio ed evidenziava una nuova aggressività – poiché avanzava pretese e intimidiva il pubblico ancor prima che fosse entrato nel cinema.
(Donald Spoto, Il lato oscuro del genio. La vita di Alfred Hitchcock, Lindau, Torino 1999)

I kit pubblicitari suggerivano fra l’altro di assumere guardie giurate che facessero rispettare il regolamento di ammissione in sala. Il kit offriva anche tagliandi per ordinare grossi orologi da mettere nell’atrio della sala per ricordare al pubblico gli orari di inizio del film, e anche sagome di cartone del regista a grandezza naturale da utilizzare con messaggi preregistrati destinati al pubblico in entrata e in uscita. In uno di questi, il regista diceva: “Signore e signori, buonasera. Devo scusarmi per il fastidio che vi arrechiamo. Tuttavia questo vostro stare in coda, in piedi, è per il vostro bene. Vi farà apprezzare le poltrone all’interno. Vi farà anche apprezzare Psycho. Vedete, Psycho lo si gode nel migliore dei modi quando si comincia dall’inizio e si procede fino alla fine. Mi rendo conto che si tratta di un concetto rivoluzionario, ma abbiamo scoperto che Psycho è diverso da quasi tutti gli altri film, e non migliora se proiettato al contrario”.

Agli esercenti si suggeriva di montare altoparlanti sulla facciata esterna per trasmettere altri messaggi registrati da Hitchcock, come questo: “Il direttore di questa sala è stato istruito, a costo della sua vita, a non ammettere nessuno nel cinema una volta che il film sia iniziato. Qualsiasi illegittimo tentativo di entrare da porte laterali, uscite di sicurezza o prese d’aria sarà bloccato con la forza. Mi si dice che sia la prima volta che questo genere di precauzioni si sono rese necessarie… ma dopotutto è anche la prima volta che si può vedere un film come Psycho”.
(Stephen Rebello, Come Hitchcock ha realizzato Psycho, Il Castoro, Milano 1999)

Psycho non solo trasportava l’horror dalla lontana Transilvania al cuore della famiglia americana ma era anche profondamente ironico dall’inizio alla fine. Il pubblico sembrava quasi intrappolato sull’ottovolante della casa degli orrori, con un miscuglio convulso di urla e risate. Gli spettatori sobbalzavano e svenivano sulle poltrone. Il caos fu tale che un cinema di New York chiamò la polizia e altri invocarono i censori. Per alcune settimane, il film oscurò la campagna presidenziale.

(J. Hoberman, “The Village Voice”, 15 giugno 2010)

Gridando sotto la doccia

Prima dell’inizio delle riprese vere e proprie, Mr. Hitchcock mi ha mostrato gli storyboard, disegnati per il montaggio della scena della doccia dal geniale artista Saul Bass, che ha realizzato anche i titoli del film. Erano previste da settantuno a settantotto angolazioni di ripresa, ognuna delle quali sarebbe durata sullo schermo due o tre secondi. Ma che un’immagine apparisse sullo schermo per due secondi o due minuti o venti minuti, ci voleva comunque lo stesso tempo per preparare la macchina da presa; le basi erano le stesse. La sequenza della doccia è stata un’eccezione rispetto all’atteggiamento di Hitchcock nei confronti del montaggio del film. Per riuscire a spaventare e terrorizzare, questa serie successiva di inquadrature dipendeva completamente dal taglio, motivo per cui era così attento a seguire lo storyboard.
(Janet Leigh, Psycho. Behind the Scenes of the Classic Thriller, Pavilion, Londra 1995)

Per Janet Leigh, questa parte e questa scena, furono la sfida più ardua della sua carriera. “La strutturazione della scena della doccia fu lasciata a Saul Bass, e Hitchcock seguiva il suo storyboard molto attentamente. Per questo, sebbene ci lavorammo per almeno una settimana, si svolse tutto molto professionalmente e velocemente. Ma era naturalmente estenuante per me stare per una settimana fradicia sotto una doccia”. Alla fine Hitchcock fece due aggiunte importanti – e personalmente significative – ai disegni di Saul Bass: la veloce inquadratura del coltello che entra nell’addome della donna (fatta con una ripresa veloce all’indietro) e l’inquadratura del sangue e dell’acqua che scorrono verso lo scarico. “Era mia intenzione girarla interamente come una sequenza priva di sangue e senza evidente violenza” disse Saul Bass “ma lui insistette per inserire queste due inquadrature”. Nella descrizione del brutale omicidio – trattato solo in termini vaghi dallo scrittore – nella sceneggiatura, all’inquadratura 116, Hitchcock aggiunse: “La pugnalata. L’impressione di un coltello che taglia, come se colpisse lo schermo, lacerasse il film”. Se c’è rabbia malata in Psycho, questo è il momento preciso da cui origina questa rabbia e fluisce in avanti e indietro nel film.
(Donald Spoto, Il lato oscuro del genio. La vita di Alfred Hitchcock, Lindau, Torino 1999)

Il Bates motel

Le squadre di operai dello studio passarono settimane a erigere le facciate della casa e del motel – la prima simile a un dito scheletrico puntato verso il cielo, il secondo sviluppato in senso orizzontale – su una collinetta dietro Laramie Street, chiamata così per aver ospitato una serie western allora trasmessa dalla Nbc.
Per uno studio modesto, costruzioni di questo genere sapevano di grande occasione. Una valida ispirazione per casa Bates potrebbe essere stata la villa allegra e inquietante della famiglia Addams, resa familiare dalle celebri vignette di Chas Addams pubblicate sul “New Yorker”. Un’influenza più diretta era certamente la tela House by the Railroad di Edward Hopper, il melanconico ritratto di una casa con mansarda esposto nella collezione del Museum of Modern Art di New York. I disegni degli scenografi Hurley e Clatworthy per Hitchcock ricordavano molto la creazione di Hopper, dalla soffitta, con tetto slanciato e finestra rotonda, fino ai cornicioni e alle colonne. Ci si aspetta quasi di vedere la signora Bates affacciarsi alla finestra del ripido abbaino che Hopper dipinse nel 1925.
(Stephen Rebello, Come Hitchcock ha realizzato Psycho, Il Castoro, Milano 1999)

[Lo scenografo] Robert Clatworthy ricorda che Hitchcock era molto più attento ai dettagli strani e inquietanti dell’arredamento – come la scultura kitsch delle mani in preghiera che si può notare in camera di Mamma – che agli ambienti in se stessi. Di fondamentale importanza per Hitchcock erano anche i set del salottino di Norman dietro l’ufficio del motel, il bagno e la stanza di Mamma. Nella sceneggiatura Stefano descrive il salotto in questi termini: “È una stanza di uccelli… Gli uccelli sono di molte varietà, meravigliosi, superbi, orribili, predatori”.

Altrettanto rivelatrice è la descrizione del bagno del motel, che fa da sfondo al momento più orripilante del film: Hitchcock disdegnava il cliché di ambientare sequenze di tensione nella solita casa stregata e oscura, così Stefano scrive: “Il chiarore bianco… è quasi accecante”. Clatworthy ricorda anche che Hitchcock raccomandò al decoratore George Milo di far sì che tutti gli impianti del bagno scintillassero. Hitchcock disse anche a Milo: “Mettiamoci un sacco di specchi, vecchio mio”.

Stephen Rebello, Come Hitchcock ha realizzato Psycho, Il Castoro, Milano 1999

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