Ingrid Bergman e Gregory Peck in un classico psicoanalitico firmato nel 1945 da Alfred Hitchcock: dal 4 dicembre arriva nei cinema italiani il restauro di Spellbound – Io ti salverò, che ritrova la sala grazie al progetto distributivo della Cineteca di Bologna, Il Cinema Ritrovato. Al cinema.

“Volevo solo girare il primo film di psicoanalisi”, ha detto Alfred Hitchcock.  “Ho voluto rompere con il modo in cui il cinema presenta i sogni. Ho chiesto al produttore Selznick di assicurarsi la collaborazione di Salvador Dalí. L’unica ragione era la mia volontà di ottenere dei sogni visivi con tratti netti e chiari. Volevo Dalí per il segno della sua architettura, le ombre lunghe, le distanze che sembrano infinite, le linee che convergono nella prospettiva, i volti senza forma”. E Hitchcock voleva anche Ingrid Bergman per le ragioni di sempre: mettere in scena lo spettacolo di un’algida bionda persa in un amore che potrebbe esserle fatale. In realtà, la Bergman algida non è mai, gli occhiali e i capelli che sfuggono allo chignon fanno anzi della dottoressa Petersen uno dei personaggi più sexy della sua carriera.

Tra un passo e l’altro d’una psicanalisi illustrata come una favola, quali squarci formidabili sa aprirsi questa cinepresa: il povero Gregory Peck, che per antico trauma odia il bianco e le righe, s’inoltra nel candore d’un bagno piastrellato, e in un attimo comprendiamo “l’illimitato, criptico terrore che può emanare dagli oggetti” (ha scritto James Agee); poi, il ritorno del rimosso, in due sole inquadrature silenziate, è il più conciso e agghiacciante che potremo mai ricordare. Come ha scritto Paola Cristalli, “la lunga scena del sogno rivelatore è un’arruffata stravaganza, ma la singola languida fuga delle porte che si aprono una dopo l’altra ancora ci turba (molto di più, su uno schermo molto più grande) per la sua simbolica, erotica eleganza”.

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