Dario Germani è tornato. A stretto giro da Antropophagus II il regista torna nei luoghi del genere italico anni ’80 e con “The Slaughter – La mattanza” sforna uno slasher inzuppato di sangue e sentiti omaggi ai maestri del nostro orrorifico passato recente.

LA TRAMA

Alcuni amici decidono di passare la notte festeggiando all’interno di uno stabilimento di sviluppo e stampa di pellicole cinematografiche. Durante una proiezione privata incappano in un film amatoriale dal titolo “The Slaughter” che riporta le gesta di un assassino e che sembra non sembra essere un prodotto di finzione. I giovani non sanno di essere loro stessi i protagonisti della prossima mattanza di un folle mascherato che li sta osservando…

UN OCCHIO AL PASSATO

The slaughter – La mattanza è esattamente ciò che promette di essere fin dai titoli di testa. La presenza di figure iconiche nel progetto come Antonio Tentori (sceneggiatura) e Claudio Fragasso (consulenza) testimonia la volontà di Germani di riesumare una certa maniera di fare cinema tutta italiana che per anni (pur ammiccando al cinema internazionale) ha avuto un’identità certa e riconoscibile.

Claustrofobico nelle ambientazioni ed essenziale nei dialoghi, The slaughter – La mattanza capitalizza al massimo l’atmosfera sospesa che riesce a creare e si concentra con appassionato divertimento sugli aspetti più gore e crudeli di un massacro annunciato. Le scene di omicidio sono infatti ben architettate e mantengono sempre alto l’interesse dello spettatore, in un crescendo di violenza che non si risparmia.

NON SOLO PAURA

Nonostante i riferimenti più o meno diretti di The slaughter – La mattanza al cinema degli Argento, Soavi, e Fulci del passato, la pellicola di Germani riesce ad essere sotto traccia anche un piccolo tributo d’amore al cinema stesso.

Il cinema più artigianale, fatto di celluloide, sangue finto e trucchi analogici, lontano dalle posticce illusioni digitali e per questo forse più sincero e vicino a chi guarda.

Il resto lo fa la solita curatissima fotografia del regista, che riesce a nobilitare la messa in scena, rendendo intriganti gli ambienti con colori acidi che emergono dal nero.

NON SOLO OMAGGI

Consigliando quindi questo fresco bagno di sangue estivo a tutti gli amanti dell’horror made in Italy, rimaniamo in attesa fiduciosi del prossimo lavoro di Dario Germani, regista di talento che, dopo due tributi riusciti (e sicuramente esportabili) al cinema cult anni ’80, speriamo di vedere presto alle prese con un progetto magari più personale e sorprendente, come quel piccolo, sottovalutato gioiellino di Lettera H.

Classificazione: 2.5 su 5.