Trilogia del terrore è un film per la televisione del 1975 diretto da Dan Curtis e, come suggerisce il titolo, è diviso in tre brevi segmenti, ciascuno con una storia a sé. Ad unire i tre episodi è la presenza di Karen Black che interpreta ben quattro ruoli diversi: Julie nel primo episodio, Millicent e Therese nel secondo, Amelia nel terzo. Tutti e tre gli episodi sono adattati da brevi racconti horror dello scrittore Richard Matheson, autore anche della sceneggiatura del segmento Amelia. Considerato oggi film di culto, Trilogia del terrore ha sicuramente traumatizzato generazioni di piccoli curiosi (me compresa), soprattutto grazie al feticcio Zuñi dell’ultimo episodio…

Julie

Julie è una giovane insegnante, tanto bella quando trasandata e dall’aspetto innocente, che attira l’attenzione di un suo studente. Il giovane inizia a fantasticare su di lei e ad essere quasi ossessionato dalla donna, finché non riesce ad ottenere un’uscita insieme. Quello che sembrava un giovane insistente ma perlopiù innocuo svelerà la sua vera natura quando droga Julie per abusare di lei e scattarle foto in pose compromettenti. Julie è costretta ad accettare il ricatto sessuale e il segmento esprime in maniera chiara e veritiera quanto sia spaventoso essere donna, nella prima parte del racconto. Ma il twist è dietro l’angolo ed è capace di ribaltare completamente la situazione, andando nella direzione della “donna mantide”, finta naif, mettendo in guardia i giovani uomini piuttosto che le giovane donne: non è un “attente al ragazzo che vi porta fuori” quanto un “attenzione a non credervi i padroni del mondo” rivolto ai maschietti. Semplice e vecchio stampo sì, ma efficace in questa sua semplicità. Volendo fare un volo pindarico, un altro segmento di un altro film antologico, Amateur Night tratto da V/H/S del 2012, è molto simile a Julie nelle tematiche.

Millicent and Therese

Il secondo è probabilmente il segmento più debole della trilogia, o almeno risulta scontato riguardandolo oggi. Millicent e Therese sono due sorelle gemelle identiche ma caratterialmente opposte: frustrata e paranoica la prima, disinibita ed estroversa la seconda. Millicent crede addirittura che ci sia qualcosa di diabolico in Theresa, mentre quest’ultima è stufa del comportamento assillante della sorella. A provare a fare da intermediario c’è il medico di famiglia, il dottor Ramsey, che subisce una sfuriata da Therese per poi essere liquidato a telefono da Millicent, che gli dice di non aver più bisogno di lui perché ormai sa come risolvere i suoi problemi. Il tema del gemello malvagio non era una novità, ma il problema non sarebbe stato neppure questo dato che ancora oggi si gioca, in cinema, tv e letteratura, con il doppio. Il problema è uno svolgimento troppo lineare, con un “twist” che twist non è, dato che si intuisce fin subito. Pazzesca come sempre però Karen Black.

Amelia

Arriviamo al terzo segmento, quello più famoso e che ha provocato maggiori notti insonni. Amelia ritorna nel suo appartamento con un regalo per il fidanzato antropologo: una statuetta feticcio inquietante. Nel pacco è presente un foglio sul quale è spiegato che si tratta di un oggetto maledetto, in cui è intrappolato lo spirito di un cacciatore malvagio, reso inoffensivo da una catenella dorata legata al suo corpo. Amelia, inoltre, è da poco andata a vivere da sola, probabilmente per fuggire dalla madre opprimente. Con questa, la protagonista ha un lungo battibecco per telefono mentre la macchina da presa quasi non si stacca da lei, rendendo evidente lo stress emotivo che quel rapporto le provoca. Successivamente, Amelia rompe inavvertitamente la catenella della statuetta, liberando lo spirito malvagio del cacciatore. Il feticcio prende così vita e inizia a inseguirla e accoltellarla per l’appartamento. Karen Black ha partecipato alla scrittura di questo terzo segmento, rendendolo indimenticabile: ha riscritto il dialogo iniziale tra Amelia e la madre, per sottolineare la natura morbosa del rapporto, e sua fu anche l’idea di mostrare quell’inquietante ed iconico ghigno nella scena finale.

Trilogia del terrore è un piccolo capolavoro/cult che si fa volere bene. Karen Smith regge alla perfezione ogni episodio, ed insieme a lei è il feticcio Zuñi ad aver reso il tutto indimenticabile. Prima di film come La bambola assassina o Dolls, questa statuetta tribale entrava nell’immaginario pop (o almeno in quello dei fan dell’horror) come una delle primissime bambole diaboliche e assassine. Inutile scomodare Freud e il perturbante; ormai è cosa nota che le bambole, con le loro fattezze simil umane, creano un senso di straniamento quando cominciano a muoversi, che sia semplicemente girare gli occhietti vitrei o camminare sulle loro gambette di plastica. Il feticcio qui, poi, è doppiamente straniante, siccome rappresenta la realtà lontanissima e “altra” della popolazione Zuñi, la quale emerge in tutta la sua ferocia (attribuitagli nel film, sia chiaro) soprattutto nel segmento finale, quando la protagonista si trasforma, abbandona il suo essere “civile” e si prepara a fare quello che inconsciamente avrebbe sempre voluto fare.