Scritto e diretto da Kevin Smith, Tusk è la seconda incursione di questo regista nell’ambito horror.

Appartenente al sottogenere della body modification, Smith ci regala un film decisamente grottesco e malato, dosando magistralmente commedia e dramma, dark humor e dolore, intensità e leggerezza. Tusk è un viaggio nell’animo umano e nella follia, un connubio perfetto tra satira e disperazione che non mancherà di farvi sorridere e rabbrividire al tempo stesso.

La Trama

Il podcaster californiano Wallace Bryton, cinico, superficiale e un po’ cafone, è a caccia di nuove storie per la sua trasmissione radio. E’ cosi che si ritrova in Canada e un pò per caso e un pò per destino, Wallace si imbatte nell’annuncio di un misterioso lupo di mare, ormai anziano, desideroso di raccontare le proprie storie a qualcuno. Arriverà cosi alla tenuta del misterioso dr. Howard Howe, anziano e solitario individuo, che accoglie l’americano con incredibili aneddoti di vita passata. Affascinato da queste storie fantastiche e dai cimeli ad esse legate, solo troppo tardi Wallace si renderà conto di essere stato drogato. Si risveglierà il mattino dopo, con una gamba amputata, immobilizzato su una sedia a rotelle. Ed il dottor Howe gli svelerà il suo piano. Trasformarlo in Mr Tusk, il compianto amico tricheco che gli salvò la vita anni fa. Alla sua ricerca andranno la fidanzata Ally e il miglior amico Teddy, assieme all’ improbabile ma geniale investigatore Guy La Point.

Tusk è il primo capitolo di un’ideale trilogia canadese nata dalla mente di Kevin Smith e provocatoriamente ribattezzata “The True North Trilogy” i cui seguenti capitoli sono Hosers Yoga- guerriere per sbaglio e Moose Jaws, entrambi appartenenti all’horror comedy con parecchi attori in comune. In questa pellicola la regia cambia registro più volte, regalandoci atmosfere diverse a seconda del taglio scelto e dei personaggi coinvolti. Deliziosa la scelta di utilizzare il bianco e nero per differenziare le storie raccontante dal dottor Howe (Michael Parks) dalla realtà. Sicuramente tagliente la satira poco  lusinghiera nel dipingere i canadesi dal punto di vista degli Usa ma  anche nel rappresentare e forse caricaturizzare i classici comportamenti  di questi ultimi ed il modo nel quale si pongono verso il resto del  mondo. Quella che può sembrare una presa in giro può in realtà essere  interpretata come una denuncia all’atteggiamento dell’ americano medio.

 E’ l’ uomo invero un tricheco nell’anima?

Affascinante e ipnotizzante l’iniziale interpretazione di Michael Parks che, elegante nel narrare le sue storie immerso in un’atmosfera gotica, mi ha ricordato Vincent Price . Si trasforma poi nel passare dei minuti a rivelare il suo lato nascosto e poeticamente perverso.  Inquietante durante la prima cena nel scimmiottare le urla di terrore del protagonista, è agghiacciante quando scoppia nella tipica risata da folle, quella che squarcia il velo sulla sua  reale natura di psicopatico dalle mire perverse. Justin Long è perfetto per il ruolo che gli è stato assegnato. Riesce a farsi odiare nelle prime battute ma nel corso del film non si può non compatire il suo destino e provare pietà per la sorte che gli è toccata.

Il personaggio totalmente fuori contesto ma in un modo così geniale da essere perfetto è senza dubbio quello di Guy Lapointe, interpretato da un irriconoscibile Johnny Depp, che con lo sguardo strabico e il pesantissimo accento francese è una caricatura, volutamente sottolineata ed ironica. E’ la parte comica della storia, alla quale il regista si affida in questo cammeo che Depp ha prestato in totale amicizia. E non è l’unico. Le due commesse del market nel quale il protagonista si ferma per chiedere indicazioni non sono altro che Lily-Rose Depp e Harley Quinn Smith, figlie rispettivamente di Johnny Depp e Kevin Smith, appunto.

Tusk è il film che solo Kevin Smith poteva fare. Un film in realtà  complesso che esplora diversi aspetti della psicologia e dell’animo umano. Decisamente non per tutti, potrebbe essere considerato un film di  amore e redenzione e ne esplora diverse sfaccettature. E’ amore malato quello del dottor Howard per il tricheco che gli salvò la vita ma verso il quale prova un senso di colpa così grande da esserne divorato dentro. Un tarlo così profondo da averlo reso un folle che sacrifica più di una vita umana, nel corso di anni di esperimenti, sino al raggiungimento del suo obiettivo, la redenzione. Un cerchio che si chiude.

 Io penso che i veri animali selvaggi siano gli esseri umani

E’ un amore sofferto e amaro quello di Ally, la fidanzata tradita di Wallace. Fidanzata che a sua volta lo tradisce con il suo migliore amico Teddy ma che non sembra volerlo abbandonare. Nemmeno alla fine quando, di umano, Wallace ha ormai solamente l’anima. E’ un amore superficiale quello di Wallace per Ally, troppo impegnato ad amare sè stesso e la sua nuova vita di successo fino al tragico epilogo. Ed è proprio quando non ha più nulla ormai, che si accorge di quanto quell’amore fosse prezioso, riscoprendolo o, forse, rimpiangendolo. Ed è proprio alla distruzione del personaggio di Wallace che assistiamo. Da narcisista, arrogante e pieno di sè a piagnucoloso, sottomesso ed infine rassegnato ad un destino che non ha il potere di cambiare.

L’inquadratura finale del film dice tutto. Ed è focalizzandoci sull’ empatia che possiamo immaginare l’orrore di quanto stia vivendo. Ormai un mostro, carne cucita a ricordare un moderno Frankestein costretto a vivere in una condizione non umana, letteralmente, ma condannato a soffire come tale. L’anima, ciò che differenzia essere umani ed animali, non può essere cancellata nè messa a tacere. Ed è questo il grande dramma e la grande verità di questo film.