Oggi, 12 Gennaio, è il compleanno di Rob Zombie.

A partire dal 2003, come noto a molti, il cantante ha avviato una carriera come regista e sceneggiatore cinematografico. Con sette lungometraggi all’attivo, Zombie ha saputo distinguersi per il suo stile caratteristico, che gli ha fatto guadagnare tanti estimatori quanti detrattori.

Prendiamo in esame una delle sue opere più divisive: “Halloween”del 2007, arrivato in Italia come “Halloween: The Beginning”. Il film potrebbe essere considerato un remake del capolavoro omonimo del 1978anche se, come vedremo, non è propriamente così.

TRAMA

Haddonfield, tardi anni ’70. Il giovane Michael Myers è un ragazzino solitario, le cui tendenze violente sono accompagnate da una condizione familiare disfunzionale. La sua situazione raggiunge un punto di non ritorno quando il giovane uccide a sangue freddo la sorella e il patrigno.

Condotto nell’istituto Smith’s Grove, il ragazzo diventa paziente dello psichiatra Samuel Loomis. Qui, Michael passerà i successivi 15 anni in un mutismo assoluto, realizzando diverse maschere di cartapesta.

Una sera, in concomitanza di un trasferimento, Myers esce dal proprio stato di catatonia e scappa dall’istituto psichiatrico. In preda a una furia omicida, l’assassino torna nella cittadina di Haddonfield. La notte di Halloween sta per tingersi, ancora una volta, di sangue.

CECI N’EST PAS UN REMAKE

Gran parte dei problemi inerenti la valutazione di questa pellicola derivano dalla sua classificazione. E’ un remake? E’ un prequel? E’ qualcos’altro? La risposta migliore, per quanto conveniente, è… tutti e tre.

There will be more original content than remake content. That’s why I don’t like the word ‘remake’.

Rob Zombie in un’intervista per HalloweenMovies.com

La seconda metà del film è infatti un sostanziale remake delle vicende raccontate dal capolavoro del 1978. Sono diverse le inquadrature che omaggiano dei momenti iconici della pellicola di John Carpenter, così come gli eventi seguono sostanzialmente il medesimo andamento. A ciò va ovviamente aggiunto il trattamento Zombie, all’insegna di una maggiore crudezza. In tal senso, è emblematica la scelta dell’interprete di Myers. Con i suoi due metri abbondanti di altezza, l’ex wrestler Tyler Mane ha un physique du role completamente diverso da quello del Michael Myers originale (Nick Castle). Siamo di fronte a un assassino brutale, che amplia la caratterizzazione iniziale del personaggio attraverso una componente di efferata fisicità. Di pari passo con questo aspetto, sono molte le scene in cui la violenza è mostrata in maniera esplicita. Prima di allora, la saga di Halloween non aveva particolarmente indugiato sulle componenti splatter, se non per scene fugaci all’interno dei sequel.

Le critiche principali al film derivano però dalla prima parte, il prequel sul percorso di crescita di Myers. Nella visione originale, Myers era purely and simply evil. Non ci era dato sapere perché un bambino avesse deciso di assassinare la sorella, né perché quel bambino fosse diventato, a tutti gli effetti l’incarnazione, di The Boogeyman, l’Uomo Nero. E’ su questa ambiguità di fondo che si giocava, in maniera alquanto affascinante, la pellicola originale di John Carpenter. Non si sapeva nulla su chi fosse Myers, si assisteva impotenti alle sue azioni. Rob Zombie, nello stendere la sceneggiatura del suo film, si è discostato in maniera netta da tale visione. Il regista ha voluto inserire la sua opera nel dibattito, non ancora risolto, nature vs. nurture.

Quanto di ciò che ha fatto Myers è imputabile alla sua natura maligna? Quanto invece può essere spiegato dall’ambiente in cui è cresciuto?

Michael cresce in una condizione familiare confusionaria: il vero padre è assente, il patrigno è estremamente ostile nei suoi confronti, la sorella non lo supporta affettivamente e la madre è troppo poco presente per fornirgli adeguate attenzioni. Insomma, si potrebbe dire che Rob Zombie abbia voluto spiegare l’origine della malvagità di Myers. In molti, in effetti, hanno proprio additato questo come il difetto principale della pellicola. In verità, proprio come avviene nella realtà, la situazione è più complessa. E’ vero che ci viene mostrato l’ambiente disfunzionale in cui il futuro killer è immerso, ma ci viene anche evidenziato come il giovane Myers abbia sempre covato tendenze violente.

La psicologia criminale concorda in maniera pressoché uniforme sul fatto che atti di violenza su animali in giovane età rappresentino un importante campanello d’allarme di future tendenze omicide. Proprio questo accade nel film, con il giovane Myers che uccide diversi animali per poi fotografarli. Anche l’utilizzo della maschera viene contestualizzato nella necessità di depersonalizzazione, che è stata teorizzata come uno dei cardini della cosiddetta “psicologia del male”. In generale si ritiene che più ci si sente depersonificati quando si compie un’azione riprovevole, più la si porterà a termine senza particolari rimorsi. Anche soltanto un indumento, come una divisa, potrebbe assolvere al compito e rendere qualsiasi persona più propensa ad agire in maniera ostile. L’ossessione di Myers con le maschere può quindi essere letta come la costante fabbricazione di quegli oggetti magici che possano permettere al suo lato oscuro di emergere. L’iconica maschera bianca di Myers diventa, in questo film, anche quella che il bambino indossa durante l’omicidio della sorella e del patrigno. La psicobiologia ha ad oggi convenuto che, per un outcome comportamentale violento, il fattore di rischio maggiore è dato dalla combinazione di una componente biologica (in parole semplici, il male innato) con un ambiente che faciliti l’espressione disfunzionale di tale componente. Zombie ha quindi, in maniera semplice, restituito un quadro che affonda le sue radici in anni di ricerche comportamentali. Il suo Myers è un serial killer molto più umano di quanto non possa sembrare, ma non esclude del tutto nemmeno la possibilità di un male insito nella sua mente fin dalla nascita.

Il film abbraccia il legame parentale fra Michael Myers e la sua vittima designata, Laurie Strode, in accordo con quanto stabilito da Halloween II (1981). La scelta di dare una ragione di matrice “famigliare” alle azioni del killer è considerato dai puristi del personaggio come uno dei più grandi passi falsi dei sequel (ecco perché, per il sequel del 2018, tale aspetto è stato rimosso). Nella visione di Rob Zombie questo fattore stona però in misura decisamente minore. Insinuare che Myers abbia un piano più preciso (uccidere la sorella) di una semplice e indiscriminata carneficina si sposa molto meglio con il killer umanizzato di Zombie rispetto all’Ombra della Strega di Carpenter.

Ecco perché Halloween-The Beginning non è propriamente un remake, quanto una reinterpretazione personale. A onor del vero, Zombie avrebbe voluto infondere ancora più della propria personalità al film, ma fu ostacolato dalla produzione. Si sarebbe riscattato con Halloween II del 2009, un’opera molto particolare e completamente avulsa dal resto della saga.

Il film può vantare un cast di tutto rispetto per gli amanti del genere, fregiandosi della presenza di nomi come Malcolm McDowell,Brad Dourif, Danielle Harris, Ken Foree, Danny Trejo, Sid Haig e Sheri Moon-Zombie.

La caratterizzazione dei personaggi principali, rispetto al film del 1978, è virata verso un approccio più realistico. Nessun personaggio è caratterizzato insomma come del tutto positivo, sembrano tutti avere le proprie fragilità. Malcolm McDowell, che interpreta Samuel Loomis, ha cercato di vestire i panni del personaggio senza rifarsi all’indimenticabile interpretazione di Donald Pleasence. Ne emerge una figura meno perfetta, più fallace rispetto al Loomis del 1978, che era sostanzialmente il perno del bene e della razionalità nella lunga notte di Haddonfield. La ricerca di realismo si sposa con la crudezza stilistica che è marchio di fabbrica di Zombie. Il film abbonda di volgarità, specialmente dal punto di vista verbale, che può in effetti risultare stucchevole. Un punto di efficacia del film di Carpenter era la contrapposizione fra la malvagità di Myers e l’idilliaca tranquillità di Haddonfield. Questo contrasto netto è assente nella pellicola del 2007 che, sotto tale aspetto, va a mostrare una similitudine col resto della filmografia del regista. Il mondo propostoci da Zombie è un mondo malsano, che pullula di personaggi sgradevoli o spiccatamente crudeli. Forse è questa la svista più evidente della pellicola: nel ricercare un approccio realistico va a sfociare, in alcuni passaggi, nel caricaturale.

In definitiva, Rob Zombie ha confezionato un film molto più ragionato di quanto potrebbe non sembrare a una visione superficiale. Un film non per tutti i palati, sicuramente non perfetto, ma che non può non essere considerato un’ottima prova di coraggio. Una dimostrazione insomma, che non vale la pena né di distruggere né di sottomettersi a quanto venuto prima, ma utilizzarlo come un solido terreno per tracciare il proprio percorso.

“I love Halloween and I wanted to do my own thing with it”

Rob Zombie in un’intervista a SFX Magazine, 2018

Classificazione: 2.5 su 5.

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