Usciva nel dicembre dal 1987 Opera, pellicola del maestro del brivido Dario Argento che all’epoca rappresentava il cinema di paura nostrano in tutto il mondo. Un film innovativo, crudele, visionario, ma anche altalenante e profeta di un declino creativo imminente.

TRAMA

Una giovane cantante lirica ha l’occasione di debuttare all’opera nel celebre Macbeth di Verdi. Il suo momento magico viene però funestato da una serie di efferati omicidi che un maniaco  la costringe a guardare con un diabolico espediente. La giovane inizia quindi un’indagine personale che ha qualcosa a che fare con il proprio passato…

RITORNO AL GIALLO

Opera costituisce un importante ritorno al genere giallo di Dario Argento, reduce dalle atmosfere cupe ma velate di fantasy che caratterizzavano il precedente Phenomena. Se nel film con Jennifer Connelly infatti il rapporto della protagonista con gli animali sconfinava nella fantasia rendendo il racconto una specie di favola nera, in Opera assistiamo invece ad un ritorno a tematiche e meccanismi più concreti e realistici, pur con le esagerazioni del caso.

MUSICA ED ESPERIMENTI

Ancora una volta nel cinema di Argento la musica ha un’importanza fondamentale nel contesto narrativo. In Opera colpisce subito l’intuizione ardita e (all’epoca) inusuale di alternare musica classica ed Heavy Metal. Tra la solennità dell’opera verdiana e un brano degli svedesi Norden Light, il solito fidato Claudio Simonetti tiene le fila di una colonna sonora variegata e a tratti davvero coinvolgente che riesce ad enfatizzare al massimo i virtuosismi visivi di un Argento che ha voglia di girare.

OPERA VISIVA

Il grande lavoro musicale viene quindi posto al servizio di una pellicola che visivamente è argentiana al cento per cento. Movimenti di camera continui seguono assassino e vittima con il solito punto di vista in soggettiva che ha reso celebre il maestro del brivido. Ancora più che nei film precedenti, in Opera la visione del regista diventa un protagonista aggiunto e riesce a rendere grandiose alcune scene chiave come la sequenza dei corvi liberati nel teatro.

I protagonisti Cristina Marsillach e Ian Charleson (attore scozzese prematuramente scomparso pochi anni dopo) sono in parte e creano una coppia di detective improvvisati credibile ed efficace. Il resto del cast tra alti e bassi ci regala i gustosi camei di Daria Nicolodi (la sua esecuzione quasi da western!) e Michele Soavi, immancabile aiuto di Argento. Fanalino di coda per Urbano Barberini, un commissario ingessato e mono-espressivo che fa rimpiangere i poliziotti farseschi alla Eros Pagni in Profondo Rosso.

NOTE DOLENTI

Se alcune scelte registiche, insieme al commento musicale, rendono Opera un film memorabile, non si può dire lo stesso per alcuni momenti di una sceneggiatura altalenante e poco credibile. Nonostante alcune licenze poetiche narrative accettabili per sfruttare al massimo l’utilizzo dei corvi e creare un finale che colpisce, alcuni espedienti risultano troppo forzati anche per il più magnanimo degli spettatori.

Il voler stupire a tutti i costi, dribblando un prematuro finale consolatorio, questa volta funziona male e dopo un’incomprensibile scivolone di scrittura (un manichino creduto cadavere per giorni? davvero?) ci troviamo a seguire la giovane ragazza scampata al pericolo che, filosofeggiando in mezzo alla natura con voce narrante di Argento stesso, ci regala quel tanto agognato happy end.

UNA PELLICOLA PROFETICA

Nel bene e nel male Opera è un film sincero. Ci mostra alcune delle cose più belle di Argento, quello che sa fare e come lo sa fare. Al contempo Opera all’epoca aprì uno spiraglio inquietante sul futuro del suo regista. In quel lontano 1987 l’ultimo film di un Argento che faceva ancora correre le masse al cinema, sembrò dare la spallata decisiva che nel futuro porterà a un crollo creativo di cui oggi osserviamo macerie come Occhiali neri.

 In Opera, come parzialmente in Phenomena (che però ha l’intelligenza di buttarsi nella fantasia) la forma prende il sopravvento su tutto, a discapito principalmente della concretezza e della credibilità di quanto raccontato.

Il post-Opera argentiano deriverà in lavori sempre più autoreferenziali, che non avranno più l’ardire di innovare, ma si piegheranno su loro stessi in un racconto sempre più sacrificato ad una vuota funzione estetica. In quest’ottica Opera diventa ancor più fondamentale nel cinema di Argento, non solo per il suo essere un film apprezzabile, ma in quanto colpo di coda di un autore geniale.

Classificazione: 2.5 su 5.