L’articolo contiene spoiler su Orphan del 2009!

Orphan: First Kill arriva nel 2022, tredici anni dopo il primo film. Ve lo ricorderete, il thriller del 2009 con una giovanissima Isabelle Fuhrman che interpreta un’orfana russa, Esther, adottata da una famiglia americana. Il twist che ha reso famoso il film è il seguente: Esther non è una bambina, ma una donna di 33 anni scappata da un ospedale psichiatrico che si diletta a seviziare le famigliole che cadono nella sua trappola. Orphan: First Kill ci racconta ciò che è accaduto prima, quando Leena, questo il vero nome della donna, riesce a raggiungere gli Stati Uniti fingendosi la figlia scomparsa della ricca famiglia Albright.

Prequel azzardato?

Orphan: First Kill è un prequel ambientato due anni prima gli eventi del primo film. Nel frattempo, però, Fuhrman è cresciuta, non ha più 12 e sarà difficile farla sembrare una bambina (che è in realtà una donna, ma avete capito). Inoltre, conoscendo già il twist che ha reso Orphan indimenticabile, un prequel parrebbe superfluo, banale. Invece, contro ogni aspettativa, Orphan: First Kill funziona eccome: bisognava solo scegliere la piega giusta da dargli. Per fortuna, ci sono riusciti. E lo spettatore si diverte un sacco.

Trama

Il film sulla genesi della nostra protagonista si apre proprio nell’ospedale psichiatrico. Già sappiamo che Leena fuggirà, ma vedere come ci riesce è una delizia: prepara uno zainetto con una camicia di forza, usa e butta via una guardia di sicurezza che dovrebbe stare in carcere e si lascia alle spalle due o tre cadaveri. Raggiunta la libertà, Leena pensa bene di volerne di più: e dove si può essere più liberi se non negli Stati Uniti? Cercando, la protagonista trova una bambina scomparsa qualche anno prima che le somiglia molto e decide di spacciarsi per lei. Quando l’ignara madre Tricia (Julia Stiles) va a prenderla, credendo di aver finalmente ritrovato la figlia perduta, ha inizio il viaggio della nostra anti-eroina alla volta del paese delle opportunità.

Un prodotto camp

Orphan: First Kill fa un sapiente uso dei set e delle inquadrature per darci l’illusione di essere di fronte ad una donna alta come una bambina di 7 anni. A ciò si aggiungono controfigure e scarpe con zeppe altissime indossate dagli attori attorno a Fuhrman. Niente CGI, dunque, per un risultato non posticcio, forse un po’ straniante, ma nel mood generale del film ci sta alla perfezione e contribuisce a rafforzare l’animo camp del prodotto. Dimenticate infatti il tono serio del primo film, perché questo prequel è un delizioso viaggio divertente e un po’ assurdo. Già iconica è la scena in cui Leena è al volante mentre fuma una meritata sigaretta, con occhiali da sole e labbra tinte di rosso; in sottofondo, Maniac di Michael Sembello.

Continuità e discontinuità

Come già abbiamo visto nel primo film, anche qui Leena si inserisce in una famiglia ricca, approfittando della sua condizione fisica. E anche qui stringe un rapporto particolarmente forte con il padre adottivo Allen (Rossif Sutherland), che le dimostra un affetto smisurato, una tenerezza che probabilmente lei non ha mai ricevuto. Il cortocircuito si crea perché Leena è una donna e vorrebbe un amore romantico o, almeno, vorrebbe ricevere le attenzioni riservate a quelle della sua età. Questo dramma vissuto dalla nostra “orfana” è il più grande punto di distacco dal film del 2009: mentre lì Esther è l’antagonista, il mostro che si oppone alla donna perfetta (la madre lì era Vera Farmiga) e che tenta di distruggere la famiglia ideale, qui Leena, alla quale viene innanzitutto restituito il nome, è al centro della storia. Resta, ovviamente, una killer e una outsider, ma i fatti sono filtrati dal suo punto di vista. E, come il suo predecessore, anche Orphan: First Kill non solo è violento, ma ha un colpo di scena spiazzante che ribalta la situazione.

Il punto di vista

Da qui in avanti ci saranno spoiler!

Lo spettatore viene calato nei panni di Leena e ne scopre fragilità e desideri. È portato quasi a fare il tifo per lei, soprattutto perché la contrapposizione con la madre qui non è così netta come nel primo film. Tricia, che fin dal primo istante è schiva, si rivela il vero mostro della vicenda. Scopriamo che Esther non è scomparsa, bensì morta. Peggio, uccisa dal fratello Gunnar. Tricia, per proteggere il figlio, ha dunque inventato la storia della scomparsa della figlia, di cui ha anche occultato il cadavere. Il twist ci fa guardare le cose da un’altra prospettiva e quanto visto fino a questo momento – siamo a metà film – assume un significato nuovo.

Il sogno americano

Leena, in questo contesto, appare quasi come una punizione, come se il karma fosse arrivato per ristabilire gli equilibri. Il sogno americano viene ribaltato o, meglio, fatto a pezzi. La protagonista fugge dall’Estonia per trovare ricchezza e libertà in America, ma qui trova una famiglia aristocratica degenerata. Dietro lo scintillio degli Albright, che si dedicano all’arte e alla beneficenza, c’è una crudeltà agghiacciante. L’ipocrisia di questo mondo viene scoperta e giustizia sarà fatta, anche se in modo non convenzionale.

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