L’annuncio dell’uscita di Tenebre (1982) trascinò nel panico i fan accaniti di Dario Argento, che pregustavano da anni la conclusione della trilogia delle streghe dopo i bellissimi Suspiria (1977) e Inferno (1980).

Per alcuni, il film rappresenta una sorta di cesoia nella carriera del regista, una sorta di canto del cigno cui seguirà un lento e inesorabile declino artistico; oggi possiamo raccontare una storia diversa, citando almeno altre due produzioni di ottimo livello che vedranno la luce negli anni a venire (Phenomena, 1985 e Opera, 1987) e una terza di sicuro interesse (l’episodio ‘Il gatto nero’, 1990, facente parte della co produzione di ‘Due occhi diabolici’).

Tenebre è un thriller quasi d’avanguardia per il periodo, un film in cui Argento cerca nuove esperienze visive e ridefinisce le sue personali convinzioni sulla morte e sulla devianza sociale dell’individuo.

La trama sembra seguire uno schema classico: un protagonista, Peter Neal (Anthony Franciosa), scrittore di best seller, atterra a Roma per promuovere il suo ultimo lavoro, intitolato, appunto, Tenebre. Poco dopo il suo arrivo, però, riceve la visita del capitano Germani (Giuliano Gemma), che lo informa di un orrendo omicidio avvenuto con la stessa modalità raccontata nel romanzo. Nella bocca della vittima, inoltre, l’assassino ha infilato diverse pagine del libro.

E’ il prologo di una trama condita da omicidi feroci, telefonate inquietanti, lettere anonime e strani personaggi che gravitano intorno alla storia. Quando appare abbastanza chiara l’identità del serial killer, un giornalista di nome Cristiano Berti che si rivela da subito attratto dalle tematiche presenti nel romanzo, il regista ci delizia con il primo colpo di scena, in cui lo stesso scrittore uccide il serial killer per poi prenderne l’identità e proseguirne la ‘missione’ per vendicarsi del suo agente e della sua ex moglie, rei di aver intrecciato una relazione alle sue spalle.

Quando Germani ricostruisce l’intera storia e riesce a puntare l’arma contro Neal, che nel frattempo ha portato a termine la sua vendetta e ucciso con un’accetta anche l’ispettrice Altieri (Carola Stagnaro), al serial killer non rimane che tagliarsi la gola con una lama da barbiere e spirare imbrattato dal sangue che sgorga a fiotti.

Un nuovo colpo di scena, però, anticipa un finale psichedelico: Peter Neal, ormai prigioniero della sua follia, ha simulato il suicidio usando un rasoio giocattolo. Nascostosi nel buio, si riarma dell’accetta e prima uccide ferocemente Germani, accortosi troppo tardi della finzione, poi attende Anne (Daria Nicolodi) per completare l’opera. Insospettitasi dalla prolungata assenza dell’ispettore, però, la donna decide di entrare in casa e, nell’aprire bruscamente la porta, spinge Neal contro una scultura tubolare, dove viene trafitto da una protuberanza appuntita e muore cercando invano di disincastrarsi con le mani che scivolano sull’acciaio ormai imbrattato del suo sangue.

Ho definito Tenebre un film d’avanguardia; è soprattutto la concezione della morte e dell’omicidio efferato che qui trovano una nuova dimensione; non più luoghi tetri, luci soffuse o drappi a nascondere ogni brandello di luce. La Roma immaginata da Argento è asettica, squadrata, impersonale, colta sempre nel momento in cui il sole illumina ogni angolo della città. Gli omicidi avvengono in un qualsiasi momento del giorno, non esiste più il rassicurante spazio diurno in cui è possibile muoversi in sicurezza. Il modus operandi dell’assassino subisce una radicale trasformazione; mai come in questa pellicola si assiste a un tripudio di sangue e delitti pianificati quasi come opere d’arte e anche questa volta riemerge pian piano un violento trauma passato che ha scatenato un’ira funesta e permesso al killer di attraversare il limite oltre il quale decade ogni tabù.

Ma stavolta Argento sdogana il male e gli apre i cancelli dell’indeterminatezza. L’assassinio colpisce ovunque, di giorno, di notte, in un luogo chiuso o in una piazza affollata. Il terrore prende forma dalla mancanza di luoghi sicuri in cui rifugiarsi.

Registicamente il film regala soluzioni di alta qualità, in cui non si può non ricordare il meraviglioso piano sequenza in cui trovano la morte la giornalista Tilde e la sua compagna e la lunga scena finale, con campi e contro campi che stordiscono e creano un senso di claustrofobia in grado di lasciare senza fiato lo spettatore.

La colonna sonora, sempre affidata a Simonetti e ai suoi Goblin, fa da contorno perfetto alla storia, pur non riuscendo a pareggiare in grandezza alcune produzioni precedenti.

Qualcuno ha definito Tenebre il miglior Thriller italiano di sempre; personalmente preferisco considerarlo un ottimo thriller, una perla troppo spesso considerata, erroneamente, facente parte della produzione minore di Argento.

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