Un George Lazenby (ex agente 007) in stato di grazia si muove disperatamente alla ricerca di vendetta in una Venezia oscura e segreta, lontana dalle immagini da cartolina.

TRAMA

Una serie di omicidi che parte da lontano e che ha come vittime bambine dai capelli rossi sconvolge Venezia e in particolare la vita di Franco, uno scultore separato dalla moglie che aveva ospitato la figlia da qualche giorno in Italia. Il fatto apre una voragine di sospetti tra i conoscenti dell’uomo, che non si fermerà di fronte a nulla pur di arrivare alla verità. Una verità che affonda le sue radici in un passato che molti preferirebbero dimenticare.

UNA VENEZIA DA PAURA

Il primo tra i meriti di Chi l’ha vista morire è quello di riuscire a presentarci una Venezia lontana dal luogo comune della città malinconica e romantica. Già prima dello splendido Don’t look now Aldo Lado riesce a trasmetterci tutta l’inquietudine e l’angoscia che le calli e i campielli lagunari possono trasmettere ad una certa ora, quando le strade meno battute sono sgombre di turisti e la città torna ad appartenere ai suoi abitanti. Chi l’ha vista morire è una pellicola che vive di attese, momenti sospesi dove spesso finiamo per essere lo sguardo del misterioso assassino, che scruta le potenziali vittime da dietro qualche muro, in attesa. La stessa attesa di Venezia, sospesa nel tempo, imparziale testimone di amori e atrocità.

UN MIX PERFETTO TRA DIVI E CRUDELTA’

Chi l’ha vista morire rappresenta ancora oggi una miscela intelligente di ciò che il genere thrilling può creare quando riesce a dosare la sua natura morbosa con il necessario ammiccamento ad un pubblico più vasto.

Nomi celebri come George Lazenby (discusso James Bond per un solo film), Adolfo Celi (volto italico che spaziava in quegli anni dal cinema italiano alle grandi produzioni internazionali) e Anita Strindberg (icona del cinema di genere nostrano) hanno sicuramente contribuito a dare consistenza alla struttura di una pellicola che già si poggiava comunque su uno script deciso, poco conciliante.

Un giallo-nero che parla di bambine prese nel momento del gioco, violentate e uccise nella cornice immobile di una città già morta dentro che trascina con se i propri abitanti rassegnati.

IL GRAN MESTIERE DI LADO

Dirompente l’effetto del grandissimo mestiere di Aldo Lado, uno dei registi più sottovalutati e dimenticati della nostra storia, che confeziona con Chi l’ha vista morire una tragedia a cielo aperto, colpendo al cuore lo spettatore in uno dei luoghi (Venezia) e delle istituzioni (la famiglia) che in genere trasmettono maggiore serenità.

Tutto nella regia di Lado è finalizzato al crescendo di tensione, dalle splendide inquadrature degli scorci lagunari alla musica invasiva, a tratti fastidiosa, con quelle voci bianche che partono quasi allegre per poi iniziare a diventare disturbanti, ossessive, maligne.

Le stesse sequenze di delitto poi, in Chi l’ha vista morire non sono mai banali, ma sempre narrate con una certa furbizia ed un gusto del tragico che ne rafforza l’impatto.

Le morti non sono mai solo morti, sono rituali, sono esecuzioni.

IL FINALE – L’ULTIMO TRADIMENTO (spoiler)

Al termine di un’indagine serrata che porta a galla l’ipocrisia di una società borghese e marcia, il colpevole si scopre essere (cliché di quegli anni) proprio colui preposto alla protezione dell’infanzia, l’insospettabile volto amico del parroco interpretato da un giovane Alessandro Haber. Difficile non scorgere una strada maestra tracciata in quegli anni proprio dai film di genere. Una volontà di prendere le distanze e di dubitare di tutto ciò che è istituzionale in particolare dall’ambiente religioso, visto molto spesso come paravento per proteggere il vizio e la perversione.

Dello stesso anno, non a caso, anche il capolavoro fulciano Non si sevizia un paperino, che rafforza la tesi.

UN RECUPERO OBBLIGATO

Per questo e molto altro Chi l’ha vista morire è una pellicola da recuperare assolutamente, che non può mancare nella collezione del cinefilo appassionato di thrilling. Come nel precedente La corta notte delle bambole di vetro Lado dimostra di avere il piglio giusto per questo genere, sapendo gestire trame crudeli con un tocco avvincente e coinvolgente, esaltando le location utilizzate e facendole diventare un protagonista aggiunto.

Classificazione: 3.5 su 5.

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