Eric Draven, un musicista rock, e la sua ragazza Shelly Webster sono coinvolti nella tanto temuta “Notte del Diavolo”. è una notte di incendi e distruzione ad opera della maggi or organizzazione criminale della città.

I due vengono trasportati in un vero e proprio incubo grazie ad un gruppetto di balordi dediti alle droghe e all’alcool (T-Bird, Skank, Funboy e Tin Tin) che uccideranno a sangue freddo lui e violenteranno a morte lei.

Eric tornerà in vita, esattamente un anno dopo la tragedia, dotato di poteri sovraumani e accompagnato da uno spirito guida (il corvo che dà il nome al film) per ottenere vendetta e per poter finalmente riposare in pace assieme alla sua amata.

Un tempo la gente era convinta che quando qualcuno moriva, un corvo portava la sua anima nella terra dei morti; a volte però, accadevano cose talmente orribili, tristi e dolorose che l’anima non poteva riposare. Così a volte, ma solo a volte, il corvo riportava indietro l’anima perché rimettesse le cose a posto“.

Più che un film, qui ci troviamo di fronte, come accade per altri, a un’esperienza. Proyas ci trascina per 102 minuti nel suo mondo fittizio, fatto di crimine e violenza, nel quale l’amore tra i due protagonisti sembra essere estraneo e alieno come una musica metal in una chiesa.

Sono frequenti i flashback nella prima parte, che mostrano la partecipazione di ognuno dei criminali al massacro.

La vera protagonista è la macchina da presa, che volando funambolicamente tra le scenografie o nell’asfalto bagnato e sporco ci cala perfettamente nel mondo visto da un corvo e nel mondo visto dallo ‘zombi’ Eric. E lo fa con una maestria unica. Lo stile visivo, del direttore della fotografia Dariusz Wolski, lo stesso di Prometheus, deve ovviamente molto allo studio delle graphic novel. Il regista fu accusato di aver girato un lungo videoclip invece che un film, ma se tutti i videoclip richiamassero così facilmente certe atmosfere non potrebbero che essere amati e vincere numerosi premi. Ma ciò non accade, si cerca nel mondo del videoclip, di copiare quello che ha già funzionato nel passato e spesso i video appaiono vuoti e privi della giusta atmosfera, anche se ben girati e con la giusta fotografia.

È un film che punta molto sulle scelte registiche e sul clima psicologico rispetto alla storia. La storia pare quella di uno slasher, o di qualunque film di vendetta. Come accade ad esempio in Kill Bill, una persona subisce un torto e ‘tornata dall’aldilà’ avrà la sua vendetta sui malfattori. Infatti, come in uno slasher, ma con la differenza che qui ‘tifiamo’ per il killer, abbiamo il mostro/killer (Eric), abbiamo la location (la città piovosa) e abbiamo le vittime (gli assassini).

Il film però non vuole fare leva sull’emozione del non uccidere i propri trasgressori o che sia bene perdonarli. Le vittime sono infatti orrende creature violente, drogate e omicide molto più simili agli orchi che agli umani. Il serial killer (interpretato grandiosamente da Brandon Lee) è bello e dannato ed è, allo stesso tempo, un folle musicista metal e il classico bravo ragazzo, ottimista e fiducioso nel futuro.

Non può piovere per sempre

Un antieroe triste sì violento, ma ancora in grado di distinguere tra bene e male. I ricordi di Eric sono sempre ricchi di luci gioiose, ambientazioni confortevoli e gesti affettuosi. Vediamo scene familiari come cucinare, fare l’amore, scherzare, ridere. Gli unici altri due personaggi che mostrano un atteggiamento gentile ed amorevole sono Sarah, una giovane adolescente di cui spesso si prendevano cura Eric e Shelley, e il sergente della polizia Albrecht, che era uno dei primi soccorritori la notte dell’attacco e che non lasciò Shelley finché l’ultimo respiro non lasciò il corpo.

I cattivi sono degli esseri spregevoli e spregiudicati, cattivi fino al midollo. Su tutti troviamo la figura di Top Dollar, il mandante e l’antagonista, Un vampiro cocainomane oscuro e marcio all’interno.

“Vittime, non lo siamo tutti?

I personaggi del film si muovono in una cittadina fantasma, gotica ma moderna. Gotham ma senza grattacieli. Infatti, come la città del pipistrello, la città del Corvo pullula di crimini e depravazione, ed assume quasi un ruolo di protagonista. La cittadina in cui è ambientato questo film è fredda ma senza neve, piovosa e umida. Sporca.

Il Corvo resta un film indimenticabile e iconico. La regia di Proyas non è barocca ma concreta e intensa nei passaggi chiave; il montaggio è forsennato e la colonna sonora punk/ghotic (The Cure, Nine Inch Nails, Rage Against the Machine) ben sottolinea le atmosfere della pellicola.

Evoca un universo capace di concretizzare su schermo il visionario fumetto di O’Barr.

Indubbiamente un buon film quello di Proyas, che è riuscito in tempi non sospetti a portare al cinema un fumetto di nicchia rendendo bene le atmosfere dark che ne costituivano l’essenza.

Finale angelico e semplice, dove vediamo uno dei ritratti più profondi e significativi di un amore immortale.

Questo film sembra volerci dire che l’amore non si consuma, non muore mai, continua a bruciare anche dopo la morte. È questo il tema fondamentale della pellicola di Proyas, nascosto da quello della vendetta, che molti ritengono più presente nel fumetto.

L’alone cult che l’ha caratterizzato ancor prima dell’uscita, fu però indubbiamente dovuto anche ad un tragico episodio che ne segnò storia e lavorazione: la morte improvvisa di Brandon Lee, il 31 marzo del 1993. Mancavano ancora tre giorni alla fine delle riprese. L’addio al mondo del compianto attore di Oakland non sarebbe potuto avvenire in modo più straziante e suggestivo: un addio avvolto in un memorabile misticismo trascendente.

Il giovane figlio di Bruce Lee fu accidentalmente colpito da una pistola che sarebbe dovuta essere caricata a salve. Al di là dell’aura di mistero che lo circonda, il fatto causò non pochi problemi alla produzione, che dovette ricorrere all’aggiunta di tagli di altre scene e a vari montaggi digitali. Inoltre il ruolo del protagonista in alcuni momenti fu assunto da Chad Stahelski e Jeff Cadiente, stuntman amici di Brandon.

Film culto per una generazione, The Crow conta tre seguiti e una serie tv di 22 episodi ispirata al lungometraggio.

Tutti di fattura inferiore rispetto al primo, vero e unico, Il corvo.

“Sono tutti morti, solo che ancora non lo sanno.”